I BRONZI DI RIACE
I Bronzi di Riace sono una coppia di staute bronzee di provenienza greca, tra le pochissime oggi esistenti, risalenti al V secolo a.C.. Furono rinvenute nei pressi di Riace in provincia di Reggio Calabria nel 1972. I Bronzi di Riace si trovano al Museo Nazionale della Magna Grecia di Reggio Calabria e nel corso degli anni sono diventati uno dei simboli della città.
Analisi delle Statue
Lo studio dei materiali e della tecnica di fusione rivela la sostanziale differenza tra le due statue. Vanno infatti attribuite a due artisti differenti e a due distinte epoche. In base ai confronti stilistici, il Bronzo A risale al 460 a.C., in periodo severo; mentre il Bronzo B al 430 a.C., in periodo classico. I Bronzi di Riace presentano una notevole elasticità muscolare essendo raffigurati nella posizione definita a chiasmo. In particolare il Bronzo A appare più nervoso e vitale, il Bronzo B sembra invece più calmo e rilassato. Le statue trasmettono una notevole sensazione di potenza, dovuta soprattutto allo scatto delle braccia che si distanziano con vigore dal corpo. Il braccio piegato sicuramente sorreggeva uno scudo, l’altra mano certamente impugnava un’arma. Il Bronzo B ha la testa modellata in modo strano, apparendo piccola, perché consentiva la collocazione di un elmo in stile corinzio.
Ritrovamento e restauro
Il 16 agosto 1972 Stefano Mariottini, giovane sub romano, si immerge nel Mare Jonio, a 300 metri dalle coste di Riace in provincia di Reggio Calabria e ritrova casualmente ad 8 metri di profondità due statue di guerrieri greci. Diventeranno famose in tutto il mondo come i Bronzi di Riace.
Nella circostanza, l’attenzione del subacqueo fu attratta dal braccio sinistro di quella che poi sarebbe stata denominata "Statua B", unica parte delle due statue che emergeva dalla sabbia del fondo del mare. Per recuperare le due statue, i Carabinieri del nucleo sommozzatori, utilizzarono un grosso pallone di plastica che fu gonfiato con l’ossigeno contenuto nelle bombole da sub.
Così il 20 agosto fu recuperata la "Statua B", mentre il giorno successivo toccò alla "Statua A", che ricadde al fondo una volta prima d’essere portata al sicuro sulla spiaggia.
Durante i primi interventi di pulitura dalle concrezioni marine, eseguite dai restauratori del Museo Nazionale della Magna Grecia di Reggio Calabria, apparve evidente la straordinaria fattura delle due statue. Fu confermata infatti la prima ipotesi secondo la quale i bronzi dovevano essere autentici esemplari dell’arte di cultura greca del V secolo a.C. venuti ad affiancare quindi le pochissime statue in bronzo che sono giunte fino ai noi complete, come ad esempio quelle conservate in Grecia: l’"Auriga" del Museo di Delfi e il "Poseidon" di Capo Artemisio, del Museo Archeologico di Atene.
A Reggio l'equipe di tecnici lavorò alla pulitura delle due statue fino al gennaio 1975, quando la Soprintendenza reggina ebbe la certezza che sarebbe stato impossibile eseguire un completo e valido restauro delle statue utilizzando solo i limitati strumenti che erano a disposizione del proprio laboratorio. Fu allora che si decise di trasferire le due statue al moderno Centro di Restauro della Soprintendenza della Toscana, presso l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze-Rifredi.
Come l’attribuzione dell’autore e l’identificazione delle due statue, è anche avvolta nel mistero la località d’origine del viaggio di queste statue, perché la nave che li trasportava si trovava lungo una rotta marittima, normalmente seguita tra Grecia, Magna Grecia e Italia tirrenica (e viceversa) che, per questo, non ha potuto dare indicazioni, né sulla località d’inizio, né sulla destinazione finale del viaggio.
Oggi all’interno del grande mistero che avvolge questo ritrovamento, l’unica ammissibile certezza è quella riguardante la ragione della presenza delle due statue proprio su quella nave che fece naufragio, o che si liberò del peso delle due statue per non affondare.
Per la realizzazione delle due statue, con una lega di rame e stagno risultata diversa per ognuno dei due Bronzi, furono saldati fra loro vari pezzi (testa, braccia, mani, busto e gambe, parte anteriore dei due piedi), fusi utilizzando la tecnica detta “a cera persa”, consistente nel rifinire, sopra una forma d’argilla già abbozzata dall’artista, l’immagine voluta per la statua, usando della cera – certo più facile da modellare – che aveva lo spessore finale desiderato per il bronzo (7-8 millimetri per le statue di Riace, come si deduce dallo spessore del loro metallo nel busto). La cera veniva poi rivestita di materiale refrattario, che avrebbe resistito al calore del bronzo fuso, nel quale si facevano delle aperture, da cui la stessa cera poteva fuoriuscire, dopo essere stata riscaldata. A questo punto del processo di lavorazione, c’era uno spazio vuoto tra la forma più interna abbozzata in argilla e il rivestimento di materiale refrattario. In quest’intercapedine, che esternamente aveva la forma voluta dall’artista, veniva colato il bronzo fuso che riempiva il vuoto lasciato dalla cera. Avvenuto il raffreddamento del metallo, si toglieva il materiale refrattario esterno, mentre veniva lasciata imprigionata nel metallo quella parte della forma interna che non si riusciva ad estrarre.
INDICE