LUOGHI DA VISITARE

CLETO (CS)

Nel periodo della guerra di Troia, X secolo a.C., la regina delle amazzoni Pantasilea «rimase uccisa in battaglia da Achille, Cleta sua nutrice, che l'amava con tenerezza, nell'udire la triste notizia, posta su una nave e accompagnata da molta gente, partì col pensiero di poterle dare onorata sepoltura». Così, Cleta, ancella di Enea «come fu nei nostri mari scese a terra e o perché trovò impossibile compiere il pietoso ufficio o forse perché le piacesse l'amenità del sito decise di non passare più oltre, vi si fermò ed edificò la città che dal suo nome si chiamò Cleta». «La città crebbe di popolo e di forze», tanto che all'epoca dello splendore della Magna Grecia entrò in guerra con Crotone (anno 16 a.C.). I Crotoniati, con un esercito, uccisero la regina la quale prima di morire ebbe ad esprimere il desiderio che tutte le regine che avrebbero regnato dopo di lei, portassero il suo nome; così «tutte le regine della città furono dette Cleta».

L'antica Cleto, centro importante della costa nel Medioevo, durante la dominazione normanna mutò il suo nome in Pietramala (1220 Guido di Pietramala e suo figlio Ruggero, 1239 Iacobus De Petramala, 1269 Castri Pietramala, 1310 Pietramala) e il nome rimase tale dal XII secolo al 1862, quando per decreto del 4 gennaio 1863 diventava Cleto. Anche sul nome Pietramala le congetture sono molteplici, oltre che alla possibilità che il nome derivi dalla famiglia feudataria, si pensa che abbia qualche legame con la posizione: Pietramala nel senso di "pietra dura", cattiva, come scrive il Padula: «Pietra gande, pietra inaccessibile a guisa di Piramide, (…) le sole formiche possono salire in Pietramala». C’è ancora un’altra versione che i nativi sono soliti raccontare e che il Padula riporta nei suoi scritti: «Un vescovo essendovi rotta una gamba, volle che si chiamasse Pietramala».
L'origine di Cleto affonda le radici nella leggenda di Cleta e nel mito delle Amazzoni, le sacerdotesse guerriere della dea Atena. La leggenda narra di Pentesilea, regina della Amazzoni andata in aiuto dei Troiani ed uccisa da Achille, e della nutrice di Pentesilea, Cleta, la quale, saputo che la sua regina si trovava a Troia, si mette in mare per raggiungerla, ma durante la navigazione venti contrari la spingono sulle coste della Calabria, dove approda e fonda una città che prende il suo nome.
Come Terina e come Temesa, Cleta fu colonia di Crotone; e come Temesa si affrancò dalla città di Pitagora e divenne libera. Distrutta nel 534 a.C. dall'esercito di Crotone, Cleta conosce un periodo di decadenza che si trascina fino all'anno Mille, quando la Calabria è costituita da una moltitudine di villaggi montani, isolati e autosufficienti, che fanno da corona ad una campagna abbandonata ed alle coste in preda alla malaria.
Cleta risorge nella prima metà del XIII secolo durante il regno svevo di Federico II, l'imperatore che "stupì e cambiò il mondo", e l'abitato si sviluppa con le case costruite ai piedi di un castello edificato su una preesistente rocca di origini bizantine. Già nel 1269 troviamo la denominazione “Castri Pietramala” e nei Registri Angioini che misurano la popolazione calabrese del 1276, Pietramala è presente con 214 abitanti.
Con l'arrivo di Carlo d'Angiò, il feudo di Pietramala estende la sua influenza fino alla bassa valle del fiume Savuto, dove viene costruito un altro castello, posto a guardia delle vie di comunicazione che dal mar Tirreno salgono verso l'interno e attraverso Martirano conducono a Cosenza.
Le terre di Pietramala e di Savuto appartengono a diversi signori feudali; nel 1463, però, il territorio viene unificato e posto sotto il dominio della città di Aiello, elevata a contea e concessa al nobile spagnolo Francesco Siscar.
Poco più di cento anni dopo, la contea di Aiello si smembra: Pietramala passa prima a Paolo Cavalcante e poi a Scipione Cavallo, nobile della città di Amantea; Savuto, con le terre poste sia a destra che alla sinistra del fiume, è affidata ad Ascanio Arnone, Regio Tesoriere di Calabria Citra dal 1555 al 1559.
È in questo periodo che Eliadora Sambiase, moglie del Tesoriere, fa incidere in latino l'iscrizione: "Eliadora Sambiase, già giovane sposa unita al marito Arnone, offre templi a Dio, limpide acque e orti verdeggianti alle ninfe e il castello di Savuto come albergo a chiunque ne abbia bisogno". La lastra di marmo (conservata ancora oggi) è collocata su un muro del castello, e Pietramala e Savuto vivono una vita economica e sociale autonoma. I due centri, grazie alla presenza di poderose fortificazioni, sono in grado di offrire sufficienti garanzie di sicurezza e la popolazione passa da 1.290 abitanti nel 1521 a 2.110 abitanti nel 1545, fino ad arrivare nel 1561 a cinquecento nuclei familiari, corrispondenti ad una popolazione di circa 2.500 abitanti.
Nel 1555 Pietramala viene colpita dalla furia dei pirati turchi; la cittadina è assaltata e depredata, e negli scontri perde la vita il sacerdote Marco Massa, ucciso mentre tenta di porre in salvo la Sacra Pisside con le Ostie consacrate.
Le ultime intestazioni feudali assegnano Savuto al barone Pietrantonio Le Piane e Pietramala al barone Domenico Giannuzzi Savelli.
Aboliti i feudi, si provvede alla ripartizione dei beni. A Savuto sono assegnate 351 moggi di terreno per un valore di ducati 7.700 e a Pietramala 89 moggi per ducati 1.780. L'abitato di Savuto diventa frazione di Pietramala ed entra nel Governo di Rogliano; nel 1811 il comune di Pietramala viene aggregato al Circondario di Aiello, Distretto di Paola, provincia di Calabria Citeriore
Nei dieci anni di governo francese gran parte della popolazione calabrese si mostra ostile nei confronti delle truppe di occupazione e, dopo la vittoria dell'esercito inglese nella battaglia di Maida del 4 luglio 1806, l'insurrezione diventa sollevazione di massa e trovano spazio episodi di banditismo e di criminalità comune.
Il 13 gennaio 1807 Giovanni Cuglietta è ucciso dai soldati francesi nei pressi di Savuto; poche settimane dopo, il 14 aprile, sempre a Savuto muore assassinato il parroco Ferdinando Cicero, e l'uccisione desta profonda impressione in tutta la zona.
Nel 1807 la Commissione Militare di Cosenza condanna a morte Domenico Antonio Milito, arciprete di Pietramala, accusato di aver incitato alla rivolta spingendo i suoi concittadini a seguire suo fratello come capomassa. Lo stesso anno una condanna a cinque anni di ferri viene pronunciata a carico di Carmine Arlotti di 27 anni, sempre di Pietramala, calzolaio, accusato di aver partecipato alla rivolta, di essersi posto armato al seguito del capobrigante Paolo Gualtieri, di saccheggio e di essersi unito ai briganti di Amantea.
Ed anche quando i Borbone tornato a Napoli gli episodi di violenza continuano: nel 1824 è ucciso, nel territorio di Pietramala, Antonio Forano di 21 anni, oriundo di Savuto, mentre Giuseppe Putaro e Filippo Vena, di Savuto, sono prigionieri nel castello di Aiello, dove muoiono nel 1832 e nel 1835.
Pietramala partecipa al movimento risorgimentale contro il governo borbonico con Nicola Pagliaro, accusato nel 1847 di cospirare contro la sicurezza dello Stato, e con Federico Spanò e Luigi Scorza, accusati di complicità in un mancato regicidio.
Al momento dell'Unità d'Italia, Pietramala, che aggrega pure la frazione di Savuto, arriva a contare complessivamente 1.515 abitanti e nel 1863 il paese cambia la denominazione in Cleto. Nel 1928 la cittadina viene retrocessa a frazione ed aggregata ad Aiello, ma nel 1934 Cleto ottiene di nuovo l'autonomia amministrativa e torna ad essere un Comune.
Nel 1946 la Repubblica vince il referendum: 881 voti contro i 543 dati al sistema monarchico. Nel 1961 Cleto conta 2.492 abitanti, e c'è più gente nella frazione di Savuto (1.180) che nel capoluogo (1.109); il resto vive nella frazione di Torbido (203). Quarant’anni dopo, i dati Istat assegnano a Cleto 1.373 abitanti, con 847 abitazioni a fronte di 486 famiglie.
Intanto all’Estero l'attenzione degli emigrati verso la terra di origine è forte, e oltre Oceano vengono fondate associazioni allo scopo di preservare la cultura e le tradizioni dei paesi lontani. Mossi dalla nostalgia e dal ricordo delle tradizioni, gli emigrati ripetono le celebrazioni più importanti delle comunità di origine ed organizzano processioni con simulacri che sono copie autentiche di statue esistenti nei luoghi della loro infanzia: la Madonna del Soccorso di Savuto ne è un esempio.
È questo un modo seguito dagli emigrati per non perdere il legame con la terra di origine